Fuori
città, su una collina che distava sì o no cinque- sei chilometri dal centro,
v’era collocato un monastero, costruito probabilmente qualche decennio prima
che questa storia avesse inizio.
La
collina, di modesta altezza, non era altro che l’anticipazione di una catena
montuosa che sorgeva non molto lontano da lì.
Era
difficile, per le vecchie monache che lo abitavano, raggiungere la città, così,
nel week end, alcuni ragazzi volontari si offrivano ad accompagnare i più
grandi dell’orfanotrofio a fare le spese. Fra di loro, c’era naturalmente
Penelope.
Che
ella lo facesse perché anche lei, un tempo, era una di quei ragazzini, era
piuttosto chiaro. E nessuno si poteva opporre al suo desiderio di aiutare i
bambini, soprattutto quelli piccoli, a passare le loro giornate e a rompere
quella monotonia che erano soliti vivere all’orfanotrofio.
La
domenica mattina si recava dalla suora Angelina, che le assegnava diversi
compiti, a seconda del bisogno.
Non
erano tanti coloro che erano disposti ad aiutare le povere monache, tantomeno a
visitarlo per adottare un bambino. Il loro, per alcuna gente del popolo, era
definito un lavoro illegale, ma le suore e i più fedeli al cattolicesimo
interpretavano quell’istituzione come sola e unica volontà di Dio.
Quel
giorno, dunque, testimone del rapido arrivo dell’autunno, Penelope s’era
recata, come al solito, all’orfanotrofio la mattina presto.
Non
appena fu arrivata a destinazione, notò una strana macchina, apparentemente
molto costosa; non aveva mai avvistato niente del genere davanti a
quell’abbazia.
Si
recò dentro, intenta a raggiungere la sala dove la suor Angelina era solita
risiedere, ma vide due insoliti ospiti.
-
Mi
scusi…- esclamò.
-
Niente
cara, prendi questo.- disse l’anziana, facendole il cenno di andarsene.
In
quella stanza, seduti su due sedie di legno abbastanza antiche, v’era una
coppia di coniugi, che parevano aver superato entrambi la trentina d’anni.
Dalla
parte sinistra, accanto alla parete, v’era seduta la donna, dal nome Jessica,
una fanciulla di una modesta ma comunque esposta bellezza.
I lunghi capelli color rosso scarlatto le arrivavano fin sotto le spalle,
mentre una frangia obliqua le nascondeva delicatamente la fronte. Negli occhi, di un verde oliva,
lampeggiava una certa tetraggine, una
certa cupezza, che si abbinava perfettamente alla borsetta di pelle nera che
teneva fra le mani.
I
vestiti che indossava erano tutti costosi ed accurati, soprattutto il ciondolo
d’oro a forma di “J” che portava intorno al collo e il braccialetto sulla mano
destra.
L’uomo
accanto a lei, era seduto in modo assai inappropriato, che dalla sua posizione
poteva dedursi che si trovasse in un’osteria e non in un luogo pio come quello.
Con
lo sguardo trasmetteva alla donna davanti a lui un’ incontrollata quantità di
strafottenza, accompagnata da una smorfia simile a un sorriso, dalla quale si
potevano scorgere i bianchissimi denti.
La
barba e i capelli neri contrastavano con il colore chiaro degli occhi
dell’individuo, mentre nella mano giocherellava oziosamente con il portachiavi
della macchina, non badando neppure al discorso che si stava sviluppando
velocemente intorno a lui.
-
Ecco,
vede, quindici anni fa ero venuta qui e avevo…-
-
Mi
spiace signora, sono passati più di quindici anni, anche se ci fossero stati
dei documenti, sono probabilmente stati perduti.-
-
Lei
non mi segue, madre. Di documenti non ce ne sono stati, perché ho lasciato la
bambina… -
-
Io
capisco cosa mi sta spiegando, ma…-
-
Lei
può o non può aiutarci?- interruppe bruscamente l’uomo, che fino ad allora
s’era tenuto a parte dalla discussione.
-
Max!-
lo zittì la donna.
-
Io…
vedrò cosa potrò fare.- concluse l’anziana, non tanto convinta delle parole che
stava pronunciando.
La
coppia si alzò, diretta verso l’uscio.
Penelope,
non appena udì i passi dei due coniugi, fece due passi svelti e si allontanò dalla
porta il più veloce possibile.
Qualcosa
non la convinceva riguardo a quelle due persone e al loro quasi aggressivo dibattito . Doveva scoprirlo al più presto,
anche se era consapevole che ciò avrebbe portato enormi sacrifici.